Il Quartiere Coppedè una realtà fantasticata
L’atmosfera surreale che avvolge villini e palazzine ha suggerito
a Dario
Argento l’ambientazione del film “L’uccello dalla piume di cristallo”
L’esperimento architettonico più originale intrapreso a Roma nei primi decenni
del secolo scorso è costituito dal Quartiere Coppedè, tra via Tagliamento e
Corso Trieste, un agglomerato “fantastico”, risultato di una sfrenata ideazione,
stracolma di particolari.
La denominazione deriva dal progettista, l’architetto e scultore Gino Coppedè,
che diresse la maggior parte della realizzazione. Nato a Firenze nel 1866, dove
nel laboratorio di mobili artigianali del padre imparò l'arte dell'intaglio,
Coppedè, quando nel 1913 arrivò a Roma, era già famoso a Firenze, Genova e
Messina: conoscitore profondo degli stili decorativi allora in voga in Europa,
il Liberty e l’Art Déco, con una predilezione per il Medio Evo, il Manierismo e
il Barocco romano.
La costruzione di un intero quartiere, commissionatagli dai finanzieri Cerruti
della Società Anonima Edilizia Moderna, fu un'occasione che accolse con
entusiasmo, mettendosi subito al lavoro per elaborare uno stile architettonico
in cui le suggestioni del passato - torri medievali, finestre manieriste, stemmi
barocchi - si fondessero in modo perfetto con elementi desunti dal repertorio
Liberty e Déco. Ne risultò un paesaggio unico: villini circondati da
vegetazione, edifici in cui i motivi mitologici dell’antica Grecia si uniscono a
un medioevo fantastico. In altri edifici predominò il Liberty con la
stilizzazione di elementi della natura, come gigli, rose, campanelle rami che si
intrecciano. Particolare è la Palazzina del Ragno, che, con gli archi disposti
asimmetricamente e il faccione scolpito, riecheggia la statuaria
assiro-babilonese.
Il quartiere è composto da 17 villini e 26 palazzine che si articolano intorno a
piazza Mincio, lungo vie a raggiera. I villini, che presentano un'altezza fino a
19 metri, di solito disposti su due o tre piani, circondati da uno spazio verde,
presentano grandi cancellate di confine, torrette, archi e reggifiaccole in
ferro battuto.
Le palazzine, alleggerite e traforate da logge e balconi, presentano più piani:
essendo di minor costo non sempre sono circondate da uno spazio verde.
Si entra nel quartiere attraverso un altisonante arcone, da cui pende un enorme
lampadario in ferro battuto, affiancato da due torri. La decorazione è data da
fregi, stucchi, cornicioni, mascheroni, balaustre, bugnati, statue e logge
disposte in modo asimmetrico. Sulla torre di destra è un'edicola con la Madonna
che sorregge il Bambino, proteso ad accogliere il visitatore, che resta colpito
inevitabilmente dalla maestosità dell'architettura d'ingresso e attratto
dall'intersecarsi dei volumi scultorei della struttura. Il piano sopra l'arcone
è arricchito da affreschi.
Lungo via Brenta si giunge a piazza Mincio, epicentro dell'intero quartiere,
sottolineato dalla Fontana delle Rane, realizzata nel 1924 su disegno di Gino
Coppedè. Su un basso bacino circolare, appena al di sopra del piano stradale,
quattro coppie di figure sorreggono ciascuna una conchiglia con una rana che
versa acqua nella stessa valva. Al centro del bacino, tra le quattro conchiglie,
si eleva su uno stelo ornato una conca circolare sul cui bordo poggiano
altrettante rane in atto di spiccare un salto verso lo zampillo centrale.
I villini che si affacciano sulla piazza esprimono tutti gli stili. Nel villino
delle Fate la facciata e i muri perimetrali sono ritmati da loggiati irregolari,
arconi e semiarconi, scalinate e tettoie. I soggetti delle decorazioni sono
costituiti da fregi geometrici, storie medioevali inventate, immagini di città,
campiture floreali. Gli alberi ad alto fusto, i cespugli, le palmette e una
flora rara conferiscono un'atmosfera surreale, attraverso giochi di luci ed
ombre. I materiali usati per l’esterno sono marmo, travertino, laterizio,
terracotta smaltata, vetro, impostati in mosaici, cornicioni, colonnati,
capitelli. Di finissima fattura la cancellata in ferro battuto e legno.
In fondo alla via che costeggia il retro del Villino delle Fate, si innalza un
palazzetto con sopra il portone un loggiato quattrocentesco, accuratamente
rielaborato e nella zona attorno scandito da balconcini e logge. Verso destra,
il bugnato rustico del travertino è sempre più abbozzato, fino a diventare
roccia.
L'Ambasciata Russa è un altro villino turrito con la base a bugnato rustico
policromatico su cui si apre il loggiato. Il largo fregio colorato rappresenta
scene dell'antichità greca. Il tetto è sorretto da grossi animali, come nel
Medioevo con funzione di grondaia.
Un ritorno ad un Liberty più sobrio e meno contaminato da fantasie rievocative
si riscontra in alcune villette di via Clitunno.
Gino Coppedè fu anche allievo della scuola di Alfredo D’Andrade, architetto e
restauratore d’origine spagnola, interprete ”eccellente” in Italia della
falsificazione dei monumenti antichi, come il Borgo Medievale di Torino. Da
questa frequentazione scaturiscono nel quartiere Coppedè le numerose suggestioni
scultoree e decorative, con un’attenzione alla natura, all’elemento passionale
ed alla mitologia, senza togliere spazio al sacro: oltre all’edicola su una
delle torri che fiancheggiano l’arcone d’accesso al quartiere, un’altra è in via
Brenta, sul muro di una casa di tipo medievale. Le suggestioni scaturirono anche
dalla cinematografia, se è vero che il portone di piazza Mincio 2, del 1926,
probabilmente l’ultima costruzione di mano del Coppedè, è copiato fedelmente da
una scena del film “Cabiria” del 1914. A sua volta fu però il cinema a rimanere
suggestionato: Dario Argento, attratto dal quartiere Coppedè, lo ritenne luogo
ideale per il film “L’uccello dalle piume di cristallo”.
Dopo una lunga interruzione dei lavori dovuta alla I Guerra Mondiale, il primo
nucleo del quartiere venne ultimato nel 1921. Ideato inizialmente per un ceto
medio impiegatizio, durante gli anni della costruzione il quartiere mutò
destinazione, adeguando la progettazione alla possibilità di un utilizzo
signorile.
Coppedè morì nel 1927. Alcuni edifici rimasti incompiuti furono portati a
termine dal genero, Paolo Emilio André.
Coppedé, oggetto di giudizi critici contrastanti, non ebbe seguaci. Il suo
quartiere costituisce una tipologia architettonica a sé stante, tra passato e
presente, tra fantasia e realtà. Gino Coppedè fu simile soltanto a se stesso.
di
Antonio Venditti
24 febbraio 2004 |