Il Traforo Umberto I,
tra le più geniali opere edilizie concepite per facilitare la
circolazione stradale di Roma Capitale, fu costruito per assicurare
un collegamento diretto tra Piazza di Spagna e Via Nazionale,
migliorare quello tra il quartiere Flaminio e l’Esquilino e per
rendere più scorrevole il flusso del traffico da Termini verso il
centro.
Fu previsto con il
piano regolatore del 1883, ma si rese necessaria la partecipazione
finanziaria della Società Romana dei Tram ed Omnibus, che contribuì
alla realizzazione del progetto, il cui costo superava i due
milioni, con 1.200.000 lire.
I lavori iniziarono
alla fine di giugno del 1900 con la previsione che l’opera sarebbe
completata entro circa tre anni. L’impresa avrebbe comportato lo
sventramento dello isolato alla base del versante nord del
Quirinale, nel 1885 molto danneggiato dall’apertura del primo tratto
di Via del Tritone. Si calcolò che la terra da estrarre e da
asportare sarebbe stata di ben 87.000 metri cubi.
I lavori si rivelarono
subito difficoltosi, si dovette procedere facendo i primi strati di
assaggio in calcestruzzo, gli altri di tufo, lasciando dietro il
terreno di scarico con infiltrazioni di acqua.
La parte centrale del
Traforo, alta 2 metri e mezzo e lunga 2,25, fu sfondata dopo sei
mesi dal primo colpo di piccone e, caduto il diaframma, il 15
gennaio 1901 gli operai, che avanzavano da parti opposte,
s’incontrarono.
Alla cerimonia
d’incontro parteciparono l’on. Santini, il direttore della Società
dei tram, l’ing. Bonfìglietti del Comune, l’impresario dei lavori
Salvatore Sadari e l’assessore capitolino Benucci, che convennero al
punto d’incontro entrando da via Parma (scomparsa), mentre il
sindaco di Roma, Don Prospero Colonna, con l’ing. Alessandro
Viviani, progettista dell’opera, entrarono dall’imbocco di via
Rasella dove era pronta una bottiglia di spumante, avvolta da nastri
tricolori, che il Sindaco ruppe con un colpo di martello d’argento
per poi con un piccone percuotere il masso.
Gli operai
continuarono da ambo le parti i lavori di demolizione ed alle ore
15,35 cadde l’ultimo pezzo, accompagnato da uno scroscio di
applausi, mentre il Sindaco si impegnava a stringere la mano ai
presenti.
Quando i lavori erano
già in stato di avanzamento, il 6 dicembre 1901 il Re Vittorio
Emanuele III per rendersi conto dell’opera percorse a piedi tutta la
galleria. In quello stesso anno vi furono proteste per la decisione
di conservare la chiesa di S. Nicola in Arcione, abbattuta alla fine
del 1905, poiché impediva il rapido accesso al Traforo da via del
Tritone.
Durante questa prima
fase dei lavori nel sottosuolo si trovarono le fondazioni degli
antichi conventi delle "Cappuccine" e delle " Sacramentine ", che
sorgevano nella zona tra via XX Settembre e via Nazionale, demoliti
nel 1886. Scavando verso via XX Settembre fu rinvenuto un mosaico in
una camera lunga 8 metri e larga 7, forse parte del tempio di
Quirino. Fu scoperta anche una statua togata senza mani e senza
testa. L’8 aprile 1902, a circa 160 metri dall’imbocco di via
Rasella, tornò alla luce una camera rivestita di marmo bianco le cui
lastre avevano fregi e bassorilievi con tracce d’incendio. Emersero,
inoltre, due colonne di granitello, un rocchio di porfido, due
basette di marmo bianco e un tubo di piombo con impresso il nome del
proprietario dell’edificio a cui apparteneva: Fulvio Plauziano
prefetto del pretorio, padre di Plautilla, moglie di Caracalla.
Mentre si avviavano al
termine i lavori di costruzione dell’arco di rovescio, il 26 agosto
1902 venne bandito il concorso per i frontoni di un ingresso al
Traforo e la Commissione giudicatrice composta da Cesare Aureli, G.
B. Giovenale, Gaetano Kock, Giuseppe Sacconi e Domenico Gnoli, nel
gennaio dell’anno dopo, approvò quello presentato da Angelo Tommasi.
Contemporaneamente fu
decisa la pavimentazione in selci - fatta poi in legno - e i
rivestimenti in maioliche bianche delle pareti della volta (ora
sostituiti da un sistema antinfiltrazione ), che ha uno spessore di
un metro e venti.
L’inaugurazione del
Traforo avvenne alle ore 16 del 20 ottobre 1902, tra un tripudio di
bandiere tricolori, mentre la folla si assiepava in via Nazionale e
in via del Gallinaccio, tra via in Arcione e largo del Tritone.
A bordo di tre tram
presero posto il sindaco, Prospero Colonna, il prefetto Colmayer, il
questore Giungi, il senatore Roux, i deputati di Roma Mazza e
Santini, il Consiglio di amministrazione della Società Romana dei
Tram ed Omnibus, i rappresentanti della Giunta capitolina, le
rappresentanze del Genio civile e militare e i giornalisti. Le
autorità, dopo aver percorso la galleria, scesero dai tram e si
fermarono davanti ad un tavolo con buffet, preparato all’uscita del
tunnel in via Nazionale. Qui si diede l’avvio ai discorsi. Solenne
fu quello del Sindaco che elogiò l’ing. Viviani e ringraziò il Re
per aver fatto realizzare l’opera al di sotto dei suoi giardini, che
si erano abbassati di 70 centimetri.
Il giorno dopo la
galleria fu aperta al solo transito tranviario, per l’occasione otto
vetture in servizio, sulle quali si accalcarono i romani. La metà
degli incassi venne devoluta ai danneggiati dalle alluvioni di
Sicilia. La sera il tunnel apparve una lunga linea di luce, perché
illuminato da lampade elettriche disposte sulle fiancate.
Dopo qualche giorno
furono terminati i marciapiedi, permettendo il libero accesso ai
pedoni, i quali, poiché dalla volta pioveva terriccio bagnato, erano
costretti a procedere con una certa attenzione per non sporcarsi gli
abiti. L’inconveniente non mancò di dare spunto ai giornali
umoristici, che pubblicarono vignette in cui si vedevano i passanti
sotto il tunnel, muniti di stivali, impermeabili e ombrelli.
L’impresa comportò
anche la morte di un operaio, rimasto sepolto sotto la sabbia.
In due anni precisi i
347 metri e 70 centimetri di lunghezza del Traforo, largo 17 metri,
furono pavimentati, rivestiti e decorati ai due imbocchi, la cui
sistemazione architettonica fu realizzata nel 1905, su disegno di
Piacentini e Podesti per il fronte su Via Milano, fiancheggiato da
due rampe che conducono a via del Quirinale, del Tommasi per lo
sbocco su via Due Macelli, dove due iscrizioni a lato dell’entrata
ricordano la data di realizzazione dell’opera.