
Nel 1508 il Ducato di
Urbino passava dai Montefeltro ad una nobile e famosa casata, che lo resse con
un governo illuminato: quella dei Della Rovere, i primi duchi del Cinquecento
italiano a comprendere i limiti e le prospettive della loro signoria che, in
seguito agli sviluppi della storia europea, rinunciò ad ambizioni di conquiste
territoriali, ma si assicurò una fama internazionale grazie alla magnificenza
delle arti, profuse nelle sontuose residenze con generoso mecenatismo o
esportate quali doni diplomatici di inestimabile valore.
Ai fasti dei Della
Rovere viene dedicata una grande mostra, fino al 3 ottobre nelle quattro grandi
residenze marchigiane che ospitarono le corti roveresche: i palazzi ducali di
Senigallia, Urbino, Pesaro e Urbania.
In esposizione, circa
300 opere d’arte, tra cui capolavori assoluti provenienti dai musei di tutto il
mondo: dipinti celebri, sculture antiche e rinascimentali, preziose oreficerie,
ricchissime ceramiche, armature, delicati manoscritti miniati tornano a decorare
le antiche stanze dei grandi palazzi nelle quattro capitali ducali, nelle quali
i signori abitarono più o meno lungamente, seguendo le loro personali
preferenze.
Promossa dalla
Soprintendenza per il patrimonio Storico, Artistico e demoetnoantropologico
delle Marche, dai Comuni di Senigallia, Urbino, Pesaro e Urbania, dalla regione
Marche e dalle province di Pesaro-Urbino e Ancona, in collaborazione con
Arthemisia s.r.l. ed Electa Musei, la mostra si avvale del con tributo di
recenti e approfonditi studi scientifici che hanno esplorato la cultura e il
gusto dell’epoca, ricostruendo la storia e il mecenatismo dei Signori, uomini
d’arme, sofisticati esteti, scaltri politici. Le loro sembianze rivivono nei
ritratti degli artisti più prestigiosi: Francesco Maria I e la consorte Eleonora
Gonzaga furono immortalati da Tiziano, il Bronzino raffigurò Guidubaldo II, il
Barocci Francesco Maria II. A Pedro Berruguete si deve il ritratto di Sisto IV
(1471-82) e a Raffaello quello di Giulio II (1503-13): dai pennelli di due
grandi maestri possiamo conoscere i tratti fisionomici dei due pontefici che
avevano dato nobiltà alla nuova signoria. Non si può dimenticare, ad esempio,
che Giulio II nel 1507 concesse ampie prerogative al Collegio dei Dottori
urbinate, dando vita, di fatto, al primo nucleo della celebre Libera Università,
fiore all’occhiello e fortuna moderna di Urbino. Anche le duchesse elargivano la
loro protezione ad artisti famosi, soprattutto nei lunghi periodi di guerra che
vedevano i loro mariti lontani da casa. Si tratta di donne che provengono dalle
maggiori casate italiane Gonzaga, Varano, Farnese, Este, Sforza. Energiche,
colte, erano preparate a gestire la politica interna ed estera, a fare leggi, a
nominare magistrati, a ricevere ambasciatori, a mantenere vivo e vivace il clima
culturale. Oltre a circondarsi di poeti, amarono e potenziarono l’oreficeria e
in genere tutte le arti cosiddette "minori" come quella della tarsia lignea che
nel ducato raggiunse livelli inarrivabili, come rivelano gli stipi esposti ad
Urbino.
Quando il Ducato, nel
1631, divenne parte dello Stato Pontificio, dipinti, sculture, gioielli, opere
d’arte, patrimonio personale dei duchi, furono trasferiti a Firenze, alla
‘nipotina’ Vittoria Della Rovere, di cui si può vedere a Urbino un busto in
pietre dure. L’erede era promessa sposa a Ferdinando dei Medici, destinato a
diventare Granduca di Toscana, perciò nei musei fiorentini è possibile trovare
capolavori prodotti nella splendida stagione del Rinascimento urbinate; con
l’estinzione della casata Medici, attraverso i Lorena, alcune opere
trasmigreranno nei musei europei, mentre la "libraria" passerà alla Biblioteca
Vaticana a metà Seicento. Alla devoluzione si aggiungeranno le spoliazioni del
periodo napoleonico e la dispersione successiva sul mercato antiquario che ha
arricchito i musei di tutto il mondo.
La mostra è corredata
da un prestigioso catalogo dell’Electa.
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La sede pesarese della mostra è
al piano nobile dell’elegante Palazzo Ducale di Piazza del Popolo, oggi sede
della Prefettura, ristrutturato da Girolamo e Bartolomeo Genga per ordine di
Guidubaldo II.
Alla committenza di Francesco
Maria I, insediato a Pesaro nel 1513 dallo zio Giulio II, si devono le stupende
tele di Raffaellino del Colle, una predella di Girolamo Genga, una tavola del
Menzocchi, ma soprattutto il grande dipinto con Siringa e Pan di Dosso Dossi
dalla Galleria Borghese che insieme al disegno del Bronzino con Apollo e Marsia
dal Louvre evoca dolci atmosfere campestri.
Nella prima metà del
Cinquecento fu riportata alla luce in Pesaro la statua bronzea di giovinetto di
epoca romana che verrà chiamata l’Idolino e per la quale fu commissionato a
Girolamo Lombardi lo splendido basamento rinascimentale scolpito. Stretto fu il
rapporto fra i Della Rovere e l’antico, come dimostra anche la statuetta in
bronzo di Eros-Hypnos (I secolo d.C.) e i disegni con statue in corazza cui
veniva sovrapposta la testa-ritratto dei Duchi, per diffondere ideologicamente
l’immagine imperiale del ducato.
Un discorso a parte meritano le
oltre 100 ceramiche, ricercate nelle forme e preziose nelle decorazioni, in gran
parte conservate nel Museo Civico della città, ma giunte anche da tutt’Italia e
da musei stranieri. Venivano prodotte nel XVI secolo a Gubbio, a Urbino, a
Pesaro, ma soprattutto a Casteldurante, oggi Urbania, di cui era originario
Cipriano Piccolpasso che intorno al 1548 scrisse i "Tre Libri dell’Arte del
Vasaio", un trattato sui segreti e le regole del far ceramica, fra credenze
magiche ed esoteriche. Le maioliche si distinguono per l’invenzione di
decorazioni caratteristiche con fiori, stemmi, festoni, foglie di quercia in
omaggio ai Della Rovere, o decorazioni geometriche o a spirale, nei colori
tipici del verde, giallo, arancione e blu, accostati in un gioco sapiente di
mezze tinte e toni. Eccelle per raffinatezza il genere detto "istoriato",
influenzato da pittori come Raffaello Battista Franco.
Tra i dipinti esposti, una tela
di Palma il Giovane oggi a San Paolo del Brasile, un capolavoro del Pomarancio,
un’opera di Federico Zuccari e un quadro del Rondolino.
Dal 4 aprile al 15 giugno e dal
16 settembre al 4 ottobre: dal lunedì al venerdì, dalle 10.00 alle 13.00 e dalle
16.00 alle 19.00. Sabato e domenica, dalle ore 10.00 alle ore 19.00. Dal 16
giugno al 15 settembre: tutti i giorni dalle 17.00 alle 24.00
Biglietto: intero 7 euro,
ridotto 5 euro.
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Caposaldo della Storia
dell’Arte, la stupefacente Madonna di Senigallia fu eseguita da Piero della
Francesca per Federico di Montefeltro, o per la figlia Giovanna che sposò
l’iniziatore della nuova dinastia. Nonostante la semplicità delle stupende
figure della Vergine, del Bambino, degli angeli e l’essenzialità
dell’ambientazione, il dipinto possiede una carica simbolica eccezionale. Molti
critici hanno proposto svariate interpretazioni del prezioso sottofondo
iconografico. Solo per fare un esempio, la rosa bianca che il piccolo Gesù tiene
in mano è stata ritenuta simbolo del colore della Madonna, della primavera,
della Resurrezione, della pratica del Rosario e della Passione. In mostra anche
tre dipinti di Giovanni Santi, padre di Raffaello, una pala del Perugino e il
Ritratto di papa Giulio II di Raffaello, proveniente dagli Uffizi. Per
decodificare il particolare apporto culturale di Guidubaldo I di Montefeltro
sono presenti il Cristo Benedicente Nel palazzo Ducale della città adriatica,
progettato da Girolamo e Bartolomeo Genga per Guidubaldo II intorno alla metà
del XVI secolo, circa 50 opere raccontano l’ascesa dei Della Rovere.
Dal 4 aprile al 15 giugno e dal
16 settembre al 4 ottobre: dal lunedì al venerdì, dalle 10.00 alle 13.00 e dalle
16.00 alle 19.00. Sabato e domenica, dalle ore 10.00 alle ore 19.00. Dal 16
giugno al 15 settembre: tutti i giorni dalle 17.00 alle 24.00. Biglietto: intero
7 euro e ridotto 5 euro.
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Nell’antica Casteldurante,
famosa in tutta l’Europa del Cinquecento per le ceramiche dai riflessi oro e
rubino, l’esposizione ha sede nel Palazzo Ducale, affacciato sul letto del fiume
Metauro. Nelle maestose sale si può apprezzare la magnifica acquaforte, lunga 12
metri e composta da quaranta pezzi incollati su tela pesante realizzata da
Nicholas Hogenberg di Monaco nella prima metà del XVI secolo, raffigurante il
sontuoso Corteo dell’imperatore Carlo V a Bologna nel 1530.
Nella città prediletta da
Francesco Maria II sono affrontati gli ultimi anni della dinastia con i ricchi
apparati di nozze con scene allegoriche per Claudia de’ Medici di Claudio
Ridolfi e il Ritratto di Francesco Maria II di Federico Barocci dagli Uffizi. In
esposizione, una raccolta di disegni di grandi artisti, come Gherardo Cibo,
Taddeo Zuccari e Federico Barocci, eseguiti in preparazione della decorazione di
sontuose ceramiche.
Nell’ultima sezione della
mostra è esplorato il rapporto dei Duchi con la scienza. Come rivelano gli
strumenti intarsiati alle pareti dello Studiolo di Federico di Montefeltro,
Urbino già dal ‘400 coltivava una grande apertura verso la scienza in un
fruttuoso dialogo con l’arte: per il duca Piero della Francesca aveva scritto il
suo trattato sulla prospettiva. Anche sotto i Della Rovere - in particolare con
Francesco Maria II - continuò questa intesa privilegiata con gli scienziati,
come rivelano il ritratto del naturalista bolognese Ulisse Aldovrandi eseguito
da Agostino Carracci, compassi, orologi solari e astrolabi decorati. Anche
Galileo Galilei fu in diretto rapporto con l’ultimo Duca: il più famoso dei suoi
ritratti, dipinto da Sustermans, chiude la rassegna.
Dal lunedì al venerdì: dalle
10.00 alle 12.00 e dalle 15.00 alle 18.00. Sabato e domenica: dalle 14.00 alle
19.00. Biglietto: intero 6 euro e ridotto 4 euro.
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Nel Salone del Trono del
Palazzo Ducale di Urbino si possono ammirare i ritratti ufficiali di Francesco
Maria I e della consorte Eleonora Gonzaga, dei quali Tiziano ha saputo, con
tocchi sublimi, far emergere la psicologia. In un gioco di specchi, Baldassar
Castiglione è dipinto in una tavola attribuita a Giulio Romano. Fanno
contorno alle immagini dei
signori opere di artisti cui più frequentemente essi si rivolsero per le loro
committenze, da Girolamo Genga a Raffaellino del Colle. Particolarmente
interessante, un’inedita statuetta di Marte seduto in terracotta di Bartolommeo
Ammannati.
Una tavola del Bronzino ritrae
Guidubaldo II con l’armatura, accanto alla consorte Giulia Varano. Esempi
altissimi della committenza del 2° duca roveresco sono le deliziose predelle di
Pellegrino Tibaldi con la Visitazione e la Decollazione e la pala di Battista
Franco, raffigurante la Madonna con Bambino e Santi.
Accanto a una tavola di
Sebastiano del Piombo si può ammirare una scultura di Federico Brandanti,
grandissimo maestro urbinate. L’arte della guerra è illustrata da una rassegna
di armi, tra cui due mezzi cannoni ornati di ghiande e di foglie di quercia, da
Firenze, Torino e New York. Il "pezzo forte" è l’armatura alla romana di
Guidubaldo II per l’imperatore Carlo V.
Francesco Maria II, sesto Duca
di Urbino, amò soprattutto la grazia pittorica di Federico Barocci (1535-1612),
che ad Urbino, sua città natale, visse gran parte dei suoi giorni ed è presente
in mostra con ben sette opere, tra cui la splendida Annunciazione vaticana
(1582-1586) eseguita per la Cappella dei Duchi di Loreto e la Natività del Prado.
Dell’inesorabile declino e
della fine del Ducato di Urbino – il territorio entro a far parte dello Stato
Pontificio nel 1631 - parla la sezione che analizza il personaggio Federico
Ubaldo Della Rovere, prima tanto atteso, poi sposo di Claudia de’ Medici, infine
premorto, giovanissimo, al padre.
Dal martedì alla domenica,
dalle 9.00 alle 19.00. Il lunedì dalle 9.00 alle 14.00. Biglietto unico con
Galleria: 8 euro.
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